PSICHIATRIA: LE TRASFORMAZIONI DELLE CASE DI CURA PSICHIATRICHE RISCHIANO DI FAR TORNARE I MANICOMI IN PIEMONTE

Recentemente in Commissione Sanità, l’assessore regionale Saitta e il responsabile dell’ Assistenza sanitaria e socio sanitaria territoriale della Regione Piemonte, Vittorio Demicheli, hanno gettato la maschera e detto chiaramente quale sarà il modello di sistema di residenzialità psichiatrica che vorranno applicare in Piemonte.

Se prima i nostri erano dubbi ora purtroppo sono drammatiche conferme: Saitta e Chiamparino hanno esplicitamente manifestato la volontà di ricreare un manicomialismo diffuso e scaricare sulle famiglie il costo delle cure il modello manicomiale e imporranno a pazienti una compartecipazione alla spesa per la cura della loro salute mentale.

Saitta e Demicheli non hanno espresso preoccupazione per le famiglie, gli operatori e gli oltre 55 mila pazienti che da oltre due anni attendono di conoscere il loro destino e che chiedono una riforma della residenzialità psichiatrica che migliori le cure, garantisca il diritto alla scelta e ampli l’assistenza domiciliare, ma per le conseguenze che le sospensioni del Tar generano sulle casse della Regione Piemonte.

Per questo, come palesemente anticipato in Commissione Sanità, la Giunta regionale sta vagliando con avvocati e uffici come addebitare a pazienti e famiglie la compartecipazione alla spesa.

A giugno inoltre, la Regione Piemonte ridefinirà il budget con gli operatori dell’ospitalità psichiatrica. Proprio all’interno di questa rinegoziazione temiamo vengano inseriti anche gli attuali posti letto neuropsichiatrici. Questo significherebbe che i posti letto presenti nelle case di cura psichiatriche piemontesi, potranno essere riconvertiti in residenziali.

Poiché per legge nazionale ogni residenza non può avere più di 20 posti letto per pazienti psichiatrici delle due l’una: o vengono cancellati con un colpo di spugna 500 posti letto ( e a questo punto ci chiediamo dove e come l’assessore Saitta e i suoi uffici intendano curare i pazienti che li occupano) oppure -come durante la Commissione il dirigente Demicheli ha lasciato intendere- la trasformazione dei posti da ospedalieri a riabilitativi creerà di fatto strutture da 100 posti letto che assomiglieranno alle vecchie strutture manicomiali soltanto più abbellite.

Da oltre due anni la psichiatria piemontese è bloccata a causa dell’ottusità della giunta regionale che continua ad imporre una riforma del sistema di salute mentale nefasta e che soprattutto non dà alcuna risposta agli oltre 52 mila pazienti psichiatrici che si trovano al di fuori delle strutture residenziali.

Non è questo il modello di salute mentale che vogliamo.

Sopratutto in un momento in cui le statistiche indicano un aumento delle condizioni di disagio psichico, è necessario avviare un modello di salute mentale in grado di confrontarsi con bisogni nuovi ed impegnativi. E’ evidente che non ci si possa fermare ad una gestione orientata unicamente alla produttività o alla redditività o alla cura farmacologica e di certo non ci persuadono le argomentazioni di chi propone modifiche o riforme regionali senza neppure conoscere ‘quanto’, ‘come’ e ‘con quali risultati vengono spesi i fondi regionali per la Salute mentale.

Nella convinzione che la salute mentale sia un bene esigibile, individuale e collettivo e condizione per lo sviluppo economico e sociale per la collettività, chiediamo che venga riaffermata con atti concreti la responsabilità pubblica delle politiche per la Salute mentale e che sia garantito il diritto dei cittadini ad ottenere la migliore cura e il diritto a scegliere dove, come e con chi farsi assistere.

Per questo motivo chiediamo che venga il prima possibile messa al voto la nostra proposta di delibera che, oltre al servizi residenziali, interviene anche sulla gestione degli alloggi assistiti, assistenza domiciliare, creazione di centri diurni, potenziamento dei servizi di psicoterapia e sostegno all’ inclusione sociale con borse lavoro e voucher formativi.

La psichiatria è una questione di diritti e di libertà, innanzitutto degli individui e come tale va affrontata, garantendo il diritto alla scelta della cura, la libertà di poter stare con i propri cari e il diritto di ricevere la migliore assistenza sanitaria, anche domiciliare, e non certo assistenziale.